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Lesungen

Dantedì 25. März 2025

Lectura Dantis – Fegefeuer, Gesang XXVIII

Stimme: Beatrice Santini
Bilder und Schnitt: Cecilia Casagni

Lectura Dantis: Hölle 5. Gesangs

Aus einer Idee des Dante-Alighieri-Komitees in Bukarest ist die Veranstaltungsreihe ‚Dante verbindet‘ entstanden.
16 Präsidentinnen und Präsidenten von Komitees aus aller Welt haben beschlossen, enger zusammenzuarbeiten, Meinungen auszutauschen und gemeinsame Veranstaltungen zu organisieren.
‚Ancor non m’abbandona‘ ist die erste Folge dieser Reihe. Es handelt sich um eine Video-Lesung des fünften Gesangs der Inferno, realisiert mit Unterstützung der Vereinigung #Culter.
Dante und die #Italofonia verbinden!

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Literaturwettbewerb „Scrivi il tuo racconto … in italiano e in musica!“
organisiert von der Società Dante Alighieri Düsseldorf im Rahmen des Projekts:
„Musica e Destini: tre Maestri, tre donne, un’anima italiana“

 

ERSTPLATZIERTE ERZÄHLUNG

von
Sarah Hauck

Sotto un caldo acquazzone, circondato da un temporale, interrotto da un venticello estivo

Sfumature di rosso, arancione, giallo e blu dipingono il cielo, mentre gli ultimi raggi di sole scompaiono lentamente. I colori danzano accompagnati da un concerto di migliaia di piccole ali che si sfregano una contro l’altra. È il frinire dei grilli, così forte che losente anche da lontano, ma che ha già superato il suo apice. Infatti, con l’arrivo della luna che illumina il cielo di bianco e nero è finalmente giunto il momento in cui le migliaia di piccole ali si fermano e la loro musica si spegne. Segue un silenzio interrotto di tanto in tanto dal soffio del vento che sussurra nella notte. È un sussurro leggero che si attenua nella pianura e che si amplifica nel bosco. Il vento, come un direttore d’orchestra, guida le foglie degli alberi che tremano al suo ritmo. Ed è questo tremolio che oltrepassa non solo il bosco, ma che arriva anche al piccolo rifugio in cui vive il pipistrello Sonu con la sua colonia.

«Svegliati», sussurrano delicatamente le foglie nel vento e Sonu, che stava dormendo, apre gli occhi. Ma anche ad occhi aperti lo spazio circostante rimane invisibile e immerso nel nero della notte. La luce bianca della luna non entra nel piccolo rifugio, ma per Sonu non è un problema. Per farsi un’idea dello spazio circostante non usa solo gli occhi, ma anche l’ecolocazione, ovvero la sua capacità di orientarsi nel buio. Perciò socchiude gli occhi, apre la bocca e produce un ultrasuono. Poi ascolta l’eco e nella sua testa si forma l’immagine dello spazio circostante: Il suo miglior amico Ritmu è appeso al soffitto vicino a lui e sta ancora dormendo. Alcuni altri pipistrelli sono già svegli e si preparano per la caccia. Anche Sonu sente lo stomaco brontolare. È ora di andare a caccia, pensa e spiega le ali per distendersi. In questo momento si sveglia anche Ritmu che lo saluta con un colpetto sulla spalla. Sonu ricambia il gesto, spiega le ali un’altra volta e si lascia cadere dal soffitto. Un attimo dopo avverte il vento sfiorargli il ventre e si dà una spinta forte con le ali. Volando si dirige verso l’uscita, mentre il colpo d’ala dietro di lui gli fa capire che Ritmu lo segue in fondo a poca distanza. Come al solito Ritmu preferisce rimanere nella scia di Sonu, il più coraggioso, lasciandogli la guida.

Una volta fuori li accoglie la luce bianca della luna che fa capolino tra gli alberi. Le foglie tremano nel vento e Sonu ne percepisce ogni dettaglio Ma le foglie non gli interessano. Si concentra e osserva lo spazio circostante, mentre continua a volare tra gli alberi. Ritmu lo segue e insieme raggiungono le cime degli alberi illuminati dalla luce bianca della luna. Il tremolio delle foglie li accompagna e Sonu riesce a individuare le vibrazioni delle ali degli insetti nascosti tra le foglie. È bellissimo riascoltare questo concerto notturno di cui già conosce ogni nota. Sente il vento nel viso che gli porta gli odori del bosco: erba, terra umida, legno e animali di tutti tipi. Anche alcuni insetti, ma Sonu si rende conto che non sono molti, per lo meno non quanti lui si sarebbe aspettato. Gira la testa, produce un ultrasuono prima verso destra e poi verso sinistra, ma il numero di insetti non aumenta. Alla sua destra vede che anche Ritmu tenta la fortuna, senza successo. È una notte perfetta ed è strano che non si vedano tanti insetti. Cos’è successo? Sonu non se lo sa spiegare. Oltrepassa il confine del bosco e si trova nella pianura. E lì, all’orizzonte, vede una distesa di luci che, provenendo dal basso, si aprono a forma di cono verso il cielo e la luna. Ritmu che è sempre vicino a Sonu lancia un grido elettrizzato. E anche Sonu capisce immediatamente: è a causa di quella luce che non ci sono più insetti nel bosco. Lì sopra, nei coni di luce, si muovono migliaia di insetti e Sonu sente di nuovo brontolare lo stomaco. Senza esitare oltrepassa la pianura e si dirige verso la distesa di luci seguito da Ritmu che condivide la stessa agitazione. A ogni colpo d’ala si avvicinano sempre più alle luci e Sonu riesce già a sentire la vibrazione delle migliaia di ali che gli è così famigliare. E mentre si avvicinano sente anche il frinire dei grilli che si sono risvegliati e che ora accompagnano la melodia vibrante degli insetti in volo. Sonu si sente felice e assapora già il successo della caccia. Lo aspetta un grande banchetto e non vede l’ora di arrivarci.

Mancano solo alcuni colpi d’ala e la distesa di luci diventa più netta. Sonu vede che il prato sotto di lui è illuminato da tante luci artificiali. E ciò che vede lo incuriosisce e distoglie la sua attenzione dalla fame. Sotto di lui si sono riuniti tantissimi esseri umani seduti in silenzio su sedie ordinate in lunghe file sul prato. Non è la prima volta che Sonu vede esseri umani, perciò li riconosce subito. E non ha paura, perché qui in alto si sente protetto. Però c’è qualcosa che lo irrita. Cerca di ricordarsi dell’ultima volta in cui ha visto un essere umano e poi capisce cosa lo irrita: è il silenzio. Normalmente gli esseri umani producono suoni di tutti tipi senza accorgersi del frastuono che fanno. Ma questa notte il loro comportamento è diverso. Perché è cambiato? Non sembrano agitati né impauriti. Sonu non se lo sa spiegare e dà un’occhiata al suo amico. Ritmu, più affamato che incuriosito dalla scena, ha già iniziato la caccia e traccia cerchi nell’aria volando dietro agli insetti.

Un brontolio allo stomaco ricorda a Sonu che anche lui deve cacciare e, grato per la luce artificiale che attira gli insetti, si gira verso uno dei tanti coni di luce, ma proprio in questo momento il silenzio sul prato si interrompe. Sonu si ferma ad ascoltare e ciò che sente non lo ha mai sentito prima: Non è il solito brutto rumoreggiare degli esseri umani. Ciò che sente è molto delicato, chiaro e acuto. Un suono che aumenta di volume, costantemente e allo stesso tempo delicatamente, fino a diventare molto forte. Incuriosito da ciò che sente Sonu si dirige di nuovo verso il prato e studia con tutti i suoi sensi la folla sotto di lui: Gli esseri umani sono ancora seduti immobili e silenziosi sulle loro sedie. Strano, pensa Sonu e si chiede: Da dove arriva questo suono magico che mi sfiora come un caldo venticello d’estate? Sonu lascia vagare lo sguardo, produce un ultrasuono e ne ascolta l’eco. Riconosce così, tra la folla, un gruppo di esseri umani seduti in semicerchio su un palcoscenico. Anche questo gruppo sembra essere immobile, ma poi Sonu individua una singola persona che sta alzando un braccio eseguendo un movimento lento e fluido. Nella mano ha qualcosa simile a un bastone. E questo bastone scorre lentamente avanti e indietro su un corpo di legno producendo così il suono magico che aveva sentito e che ora si perde nel silenzio della notte. È il momento in cui il bastone e il corpo di legno finiscono il loro ballo. Segue un breve silenzio e Sonu sente solo la melodia della natura: il frinire dei grilli, la vibrazione delle piccole ali e il sussurro del vento. E poi Sonu vede che sul palcoscenico si sveglia un’altra persona e che ha un serpente metallico arrotolato in mano. Se lo porta alla bocca e subito dopo si sente un altro suono. Come il precedente è un suono continuo che diventa sempre più forte. Ma questa volta è un suono molto più profondo che fa ricordare a Sonu un caldo acquazzone estivo. Sonu è affascinato e mentre si chiede quali altri suoni ci saranno ancora, il secondo suono si affievolisce fino a spegnersi. Un altro momento di silenzio e poi una grande esplosione! Rimbomba un suono così forte che Sonu sente le vibrazioni attraversargli il corpo. Si gira spaventato verso il cielo, ma non c’è nessuna nuvola e nessun segno di temporale. Anche Ritmu ha interrotto la caccia impaurito. Al secondo boato Sonu riconosce la provenienza del suono: Vede alcune persone del gruppo nel semicerchio che battono le mani o piccoli bastoni su cose che sembrano pezzi colorati di un tronco cavo. Sonu si tranquillizza. I boati che sente si ripetono velocemente e seguono un ritmo del tutto differente dal frinire dei grilli. È affascinato e sente il cuore battere a ritmo dei boati. Lascia vagare lo sguardo un’altra volta e vede che adesso si sveglia tutto il gruppo e che ai boati si aggiungono i suoni magici che aveva sentito prima. Ma questa volta variano nella loro lunghezza e altezza e si aggiungono altri suoni la cui origine Sonu non riesce a individuare. Gli sembra di trovarsi sotto un caldo acquazzone estivo circondato da un forte temporale, interrotto a volte da un venticello d’estate. Che gioia e che strana sensazione! Sonu è felice e vola tra i coni di luce lasciandosi trasportare dalla musica. E mentre si avvicina a Ritmu, che ha vinto la sua paura e ha ripreso la caccia, si accorge di nuovo della melodia della natura che, pur essendo meno forte, si unisce al concerto, ai boati e ai suoni magici. Questo è il momento in cui anche Sonu inizia la caccia. Con le ali segue il ritmo della musica e con facilità riesce a prendere un insetto dopo l’altro. La sua eco e la luce lo guidano e Sonu sente una felicità che non ha mai provato prima. È una notte perfetta e questa musica magica lo commuove profondamente. Così passano i minuti in cui la musica continua e Sonu e Ritmu si concentrano sulla caccia. Ma questa volta anche Ritmu si lascia trasportare dalla musica. Quando i due pipistrelli si sentono sazi rallentano il loro volo e si godono un’ultima volta il concerto. Poi voltano le spalle alla musica e al prato illuminato e volano verso il bosco. La melodia magica li accompagna ancora per qualche minuto e poco a poco diminuisce di volume finché si spegne e si sente solo la musica notturna del bosco. Sonu e Ritmu si guardano e tutti i due sanno che non dimenticheranno mai questa notte meravigliosa.

Sarah Hauck
Sarah Hauck

Sarah Hauck wurde 1999 in Aachen (Deutschland) geboren und erlebte während ihrer Kindheit und Jugend viele Umzüge und Wohnortswechsel mit ihrer Familie. Einer dieser Umzüge führte sie 2010 für zwei Jahre nach Italien, wo sie eine italienische Schule besuchte und Italienisch lernte. Während dieses Aufenthalts in Italien entwickelte sie eine Leidenschaft für die romanischen Sprachen – eine Leidenschaft, die sie seit 2018 auch im Rahmen ihres Bachelor- und Masterstudiums der Romanistik mit Studienaufenthalten in Deutschland, Italien und Spanien pflegt.

Auch in ihrer Freizeit widmet sich Sarah Hauck mit Begeisterung den Sprachen, insbesondere dem kreativen Schreiben. Schon seit ihrer frühen Jugend erfindet sie kürzere und längere Fantasy-Geschichten, ohne diese jedoch zu veröffentlichen. Erst ein Praktikum beim Kölner Verlag „Emons Verlag“ im Jahr 2022 ermutigte sie dazu, ihre Schreibprojekte zu überarbeiten. Mit einem dieser Projekte, ihrer kurzen Erzählung auf Italienisch Sotto un caldo acquazzone, circondato da un temporale, interrotto da un venticello estivo, gewann sie schließlich im September 2025 den Schreibwettbewerb des italienischen Kulturinstituts „Società Dante Alighieri“ in Düsseldorf. Ermutigt durch dieses Ergebnis beabsichtigt Sarah Hauck, ihre Schreibprojekte sowohl auf Deutsch als auch auf Italienisch weiterzuführen, mit dem Ziel, sie zu veröffentlichen.

 

Cecilia Taburchi 2 classificata

 

ZWEITPLATZIERTE ERZÄHLUNG

von
Cecilia Taburchi

IL BATTITO DI SIMPHÒNIA

In principio tutto era Quiete.
Non esisteva luce o suono che potesse tagliarla. Non esistevano spazio o tempo né tanto meno esistevano i concetti di caldo o freddo, di lento o veloce, di piano o forte.

Essa non aveva forma o colore e se qualcuno o qualcosa avesse voluto cercarla, ammettendo per assurdo che qualcuno o qualcosa in principio esistesse, l’avrebbe trovata ovunque e da nessuna parte nello stesso istante.

La Quiete condusse nel buio più profondo il ritmo inesistente delle cose divenendo se possibile sempre più assordante. Essa basava la sua intera esistenza nel fare attenzione a non far trapelare alcun sibilo.

Ma lontano molte vite e molta luce dalle percezioni del silenzio, qualcosa stava per mutare. La prevedibilità di ciò che era stato fino a quel momento generò nella Quiete la sicurezza che nulla avrebbe potuto interrompere il suo essere. E aveva ragione; se non fosse che in quella tranquillità apparente non si stava preoccupando di se stessa. Bastò un attimo impercettibile.

Nelle viscere più remote del buio si udì un suono secco e deciso che spezzò in maniera irreversibile l’imperituro, fino a quel momento, silenzio. Quel suono ricordava il respiro di sollievo emesso da una bottiglia di vetro quando, finalmente, riesce a liberarsi dal tappo di sughero. Qualsiasi cosa che la Quiete avesse tentato di contenere fino a quel momento venne rilasciato in un istante. Ma ciò che fu liberato era tutt’altro che silenzioso.
In un primo momento, come possibile immaginare, fu sconcertante. La Quiete si ritrovò a condividere il suo prezioso silenzio con qualcosa che faceva… rumore? Provò con ogni mezzo a sovrastare quei suoni incomprensibili, ma tutto sembrava inutile. Era spaventata all’idea di mettere in discussione la natura taciturna in cui aveva sempre vissuto.

C’era però chi condivideva le sue stesse sensazioni. 
C’era chi per tutta la sua esistenza aveva vissuto nel trambusto più totalizzante senza avere percezione, anche per un solo secondo, di cosa fosse il silenzio.

C’era chi in un un attimo venne scaraventato in una realtà in cui la Quiete era più assordante che mai.

Il suo nome era Fragore e anch’esso, invano, cercò disperatamente modi per sovrastare il silenzio che tanto lo terrorizzava.

Sospiri e pause. Frastuono e calma. Fragore e Quiete non erano che due facce della stessa medaglia. Nonostante gli interminabili tentativi, raggiunsero questa consapevolezza accettando a malincuore l’esistenza dell’altro come parte di sé.

Con il passare del tempo riuscirono ad allinearsi alternando il silenzio di Quiete e i suoni di Fragore. Avevano capito che attraverso il profondo ascolto di sé e dell’altro era possibile creare ritmi e sfumature diversi in base alla loro volontà. Rinchiusero il ricordo della solitudine e si promisero di non sfociare mai nella malinconia e nella tristezza. L’affinità tra loro divenne così forte che, senza neanche accorgersene, intorno a loro qualcosa stava prendendo forma: Simphònia.

 Le prime a sorgere sono state le Grandi Montagne Armoniche, una lunga catena montuosa che segnava i confini del mondo. Dalle loro viscere si poteva sentire il suono profondo e ipnotico di grancasse che dettavano il ritmo di tutta Simphònia. Il loro battere era così costante che rappresentava una certezza incrollabile per tutto il regno.
Lungo il versante roccioso, scivolava rapido il Ruscello di Cristallo il cui suono frizzante di ottavino si contrapponeva al rintoccare delle Grandi Montagne Armoniche. L’agilità con cui scendeva dalle ripide pendici era rinomata in tutto il paese grazie ai suoi allegri e acuti virtuosismi. Finito il suo corso, il Ruscello di Cristallo si lasciava cadere in un enorme lago di cui non si conoscevano le profondità, né tanto meno cosa le abitasse. Ad un ascolto superfluo sembrava che l’Argentato Specchio non facesse altro che riflettere le cime delle montagne che si stagliavano imponenti sopra di lui. Se però si prestava un po’ di attenzione si poteva sentire il suono rilasciato dalle bolle che, dal fondale, si infrangevano sulla superficie del lago. Ogni bolla emetteva una nota dal colore tintinnante simile a quello dello xilofono e, ascoltando per un periodo sufficientemente lungo, era possibile riconoscere la successione della scala di Do maggiore.

L’Argentato Specchio era solo una piccola macchia brillante nella vasta Prateria Melodiosa che colorava di verde gran parte del territorio di Simphònia. Sul suo manto si rifletteva uno spartito che in continuo divenire seguiva le melodie di tutti. I fili d’erba erano pizzicati da una brezza mite e delicata il cui tocco componeva una musica sognante e meravigliosa. Quiete e Fragore non erano mai stati così sincronizzati: l’una si occupava dell’andamento e del ritmo gioioso del mondo attraverso le sue pause; l’altro orchestrava i suoni e ne modificava l’emissione. Simphònia cresceva e prosperava senza sosta ed ogni suo suono era vivace e esuberante senza alcuno stridio o stonatura.

Tutto sembrava in sintonia ma dietro le quinte Quiete e Fragore orchestravano le loro creazioni in maniera non del tutto trasparente. Ogni suono e sequenza era creata con un’attenzione al limite del maniacale poiché tutto doveva ad ogni costo essere perfetto. La terza modale di ogni accordo doveva necessariamente rispettare una condizione imprescindibile: rispetto la nota fondamentale doveva esserle distante quattro semitoni. Questo significava che in tutta Simphònia l’unica tonalità consentita era quella maggiore, il ritmo doveva essere allegro e trionfale bandendo invece i suoni più malinconici o tristi. Per Quiete e Fragore, melodie infelici o stonature non erano contemplabili: ogni imperfezione veniva immediatamente bollata come errore. Così questi venivano rifiutati e rinchiusi in uno spazio lontano e impossibile da raggiungere. Inizialmente quando le tonalità minori e le sbavature nelle melodie erano poche, non sussisteva alcun problema. Ma con il passare del tempo i suoni banditi aumentavano e lo spazio disponibile si riduceva vertiginosamente. E così gli esclusi iniziarono a pretendere di essere ascoltati perché anche a loro doveva essere concesso. Nessuno conosceva l’esistenza di questa gabbia, eppure tutti ne avvertivano la presenza. Il ritmo fondante di Simphònia, che risuonava dalle profondità delle Grandi Montagne Armoniche, era generato proprio dai suoni imprigionati sotto di esse. Quiete e Fragore dovevano sapere meglio di chiunque che quando qualcosa si impone in maniera prevaricante, il suo opposto, se confinato, cercherà di emergere. E tanto più si cerca di contenerlo, tanto più questo farà pressione per farsi sentire. Ma la loro cupidigia e la loro bramosia di controllo erano accecanti e Simphònia stava per essere distrutta dal suo interno.

Sembrò un déjà-vu ma in un solo istante la pace, che era stata manipolata con cura, crollò. Un gran frastuono fece tremare ogni angolo di Simphònia e un caotico insieme di lamenti dissonanti infettò l’atmosfera. Dalle candide cime delle Grandi Montagne uscì un fumo nero e assordante che accompagnò una cascata incontrollabile di rocce incandescenti. Dove qualche attimo prima scorreva il Ruscello di Cristallo, l’acqua cominciò a tingersi di un rosso inconfondibile: quella era lava, e le catene montuose si rivelarono in realtà vulcani in procinto di eruttare. Tutti gli accordi minori, le variazioni fallite, gli sbagli compiuti si riversarono su tutta Simphònia e l’aria perfetta si riempì di stridii angoscianti che per troppo tempo erano stati relegati e mai accettati come parte di una sinfonia. Il caos cresceva e con esso il calore del magma. In pochi istanti le magiche melodie tacquero e il nero fumo oscurò tutta Simphònia gettandola nella più totale oscurità.

Ginevra si svegliò di soprassalto con la fronte sudata e il fiato corto. Guardò la sveglia e si accorse che mancavano pochi minuti al suo trillare. Fece per prendere gli occhiali sul comodino, quando il suo sguardo si posò su una pagina di quaderno sgualcita, rimasta lì tutta la notte accanto al suo viso:

NON RIESCI A SUONARE NEANCHE LA MUSICA
CHE TI SUONAVA SEMPRE LA MAMMA. FAI SCHIFO! 

Chiuse frettolosamente il diario e lo ripose in fondo al cassetto del comodino. Mentre si sistemava gli occhiali sul naso, ripensò a Simphònia. Quel sogno la tormentava da anni e lei passava intere giornate a chiedersi: come avrebbe fatto quel mondo meraviglioso a salvarsi dalla coltre funerea di lava una volta per tutte?

Si alzò, andò in bagnò a vestirsi e, ancora stordita, giunse in cucina dove trovò suo papà che, come sempre, preparava la colazione. Ginevra si mise a tavola nel silenzio più totale e cominciò a sorseggiare il solito latte e cereali mentre suo padre si limitava a fissare fuori dalla finestra. Non prendeva mai posto accanto a lei né tanto meno le chiedeva come stesse da quando… beh sì da quel giorno. Dopo qualche minuto, sempre senza proferire parola, uscirono di casa assieme e salirono in auto. Ginevra aveva preso l’abitudine di avere sempre un auricolare con le sue canzoni preferite per colmare quel silenzio paralizzante. Davanti alla scuola, il padre la fece scendere senza nemmeno guardarla e si diresse come suo solito verso il lavoro.

Le giornate scolastiche di Ginevra passavano lente e monotone. Non le piacevano i suoi compagni di classe: la ignoravano la maggior parte del tempo e quando le rivolgevano parola era per schernirla. Non sopportava stare seduta per ore a sentire i suoi docenti che ciarlavano sulla matematica e la geografia. Per lei quello era tempo sprecato ma fortunatamente aveva ancora le sue cuffiette e la sua mente per pensare a come salvare Simphònia. Ma più di tutto detestava gli sguardi colmi di compassione che gli insegnanti le rivolgevano da qualche tempo. Sapeva perfettamente il motivo per cui lo facevano ma non lasciava mai trapelare nessuna emozione. Trascorse le sei ore rincasò e, sempre immersa nei suoi pensieri, si chiuse in camera sua e si mise seduta davanti al pianoforte, suo confidente e amico. Lo suonava da che aveva memoria, addirittura da quando aveva quattro o cinque anni al massimo: glielo aveva insegnato sua mamma. Da quando lei non c’era più, Ginevra aveva promesso a se stessa che avrebbe continuato a suonare il piano ogni giorno, per sentirla ancora vicina e cercare di rivivere i momenti di perduta spensieratezza. Aprì lo spartito e lo adagiò sul leggio: Valzer No. 19 in La minore di Chopin. Erano settimane che ci lavorava ma quando puntualmente arrivava alla diciottesima battuta si bloccava, chiudeva lo spartito e scriveva sul suo diario l’ennesimo fallimento della giornata.

Fece un respiro profondo, lasciò che le sue piccole mani scorressero sui tasti d’ebano e d’avorio e la stanza venne inondata da una melodia dolcissima. Tutto fluì fino alla diciottesima battuta quando, come sempre, si bloccò.

E fu in quel momento che comprese come salvare Simphònia. Rivolse il suo sguardo al comodino e vi si diresse velocemente. Aprì il cassetto e tirò fuori quel diario, l’impeccabile registro dei suoi errori che aggiornava e rileggeva ogni sera prima di addormentarsi. Non sarebbe mai stata in grado di finire il Valzer di Chopin se non si dava la possibilità di sbagliare. Scese di fretta le scale e in salotto trovò suo papà che leggeva un libro sulla poltrona davanti al camino acceso.

Ginevra guardò un’ultima volta il suo diario e rilesse cosa aveva scritto la sera precedente. Chiuse con un gesto deciso quelle pagine pregne di odio e le gettò nelle fiamme danzanti, che ne fecero il loro pasto. Tornò in camera sua, si rimboccò le maniche e, con coraggio si sedette davanti il pianoforte. Iniziò a suonare ma questa volta con la consapevolezza che l’errore deve essere parte del processo. Così fece per ore finché la diciottesima battuta non colmò la stanza come un respiro atteso da tempo. Lo stesso respiro di sollievo emesso da una bottiglia di vetro quando riesce finalmente a liberarsi dal tappo di sughero.

Cecilia Taburchi
Cecilia Taburchi

Cecilia Taburchi, geboren im Jahr 2000 in Perugia, hat einen Abschluss in Neuerer Literatur an der Universität Perugia erworben, wo sie derzeit einen Masterstudiengang in Italienischer Philologie absolviert. Seit ihrer Kindheit besucht sie Theaterkurse und spielt Klavier; zudem widmet sie sich dem Schreiben von Theater- und Musikkompositionen. Kürzlich hat sie an Synchronisationskursen teilgenommen und ist Mitglied der Theatergruppe BackToBack mit Sitz in ihrer Heimatstadt.

Mohammad Eng Lofti 3 classificato

 

DRITTPLATZIERTE ERZÄHLUNG

von
Mohammad Eng Lotfi

IL SENSO DELLA MUSICA

La nonna contadina è così distratta nel raccogliere le erbe e le verdure dal suo giardino, persa nei suoi pensieri, che non si rende conto che il telefono sta squillando.

“Oh, il telefono!”, dice e comincia a correre verso il tavolino di legno sotto la finestra. “Chi parla?”, chiede mentre cerca di riprendere fiato.

“Sono io, nonnina, Giacomo, il tuo nipotino preferito! Non ti aspettavi una mia chiamata così presto la mattina, ti ho disturbato? Sono al bar, sto facendo colazione, volevo salutarti prima di andare al lavoro.”

“Buongiorno, Giacomino di nonna, non preoccuparti, sono due ore che sono sveglia grazie alla musica del gallo e alla melodia delle galline” risponde la nonna e ride. “Ma tu sei già tornato dalla tua vacanza in Alto Adige?”

“Sì, sono tornato ieri. Ma la musica del gallo, Nonna? Che musica può fare un gallo? Stai scherzando, oppure hai comprato un nuovo orologio a cucù con un gallo al posto del canarino?”

“No, dico davvero, mi sono svegliata grazie a questa musica.”

Nel bar arriva Enzo, l’amico di Giacomo che studia il pianoforte classico. “Enzo, ascolta quello che dice mia nonna, lei si è svegliata grazie alla musica del GALLO! LA MUSICA, una cosa assurda!”, strilla e ride Giacomo.

Enzo risponde: “Non lo so… forse tua nonna non ha idea di cosa sia la musica e specialmente la musica classica, altrimenti non chiamerebbe musica il verso di un animale.”

“Però secondo te nemmeno io sono un musicista, visto che suono il rock!”

“Mi dispiace, Giacomo, ma è così… la musica vera è quella di Bach, Mozart, Vivaldi…”

Nel frattempo, entra Andrea, un vecchio amico di Giacomo ed Enzo, e comincia a dire: “Ma perché questa discussione? Di cosa state parlando?” , mentre raggiunge il loro tavolo.

Giacomo risponde: “Del fatto che mia nonna dice che il canto del gallo è musica ed Enzo dice che la musica Rock non è vera musica.”

“Vedi, Giacomo, ti capisco bene”, dice Andrea “ma purtroppo Enzo ha ragione; e anche tua nonna. Ma Enzo, devo dirti una brutta verità: anche la band Rock di Giacomo è musica. Scusami, non sono riuscito a non dirtelo” aggiunge con un sorriso ammiccante. “Perché la musica è una cosa diversa a seconda di chi la ascolta, ma risveglia dei sentimenti dentro ognuno di noi.”

Cecilia Taburchi
Cecilia Taburchi

Cecilia Taburchi, geboren im Jahr 2000 in Perugia, hat einen Abschluss in Neuerer Literatur an der Universität Perugia erworben, wo sie derzeit einen Masterstudiengang in Italienischer Philologie absolviert. Seit ihrer Kindheit besucht sie Theaterkurse und spielt Klavier; zudem widmet sie sich dem Schreiben von Theater- und Musikkompositionen. Kürzlich hat sie an Synchronisationskursen teilgenommen und ist Mitglied der Theatergruppe BackToBack mit Sitz in ihrer Heimatstadt.